La Bella e “La Bestia”

“Il totalitarismo possiede molte facce, molti nomi, ma non fatevi ingannare. Sappiate riconoscerlo, e contrastarlo. Lo troverete spesso molto vicino a voi. Potrebbe somigliarvi persino. Fare cose apparentemente innocue: si, il tiranno può sembrarvi addirittura simpatico, mente sorride alla fotocamera e condivide con voi le foto di un pasto poco salutare. ”

Laura Grimaldi presenta il suo nuovo dipinto “La Bestia”.

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La Bella e “La Bestia”: Neo-fascismo e movimenti di Resistenza nell’era digitale

Pertini: Vede, io sono fedele al precetto di Voltaire, ed è questo. Dico ai miei avversari: “Io combatto la tua fede che è contraria alla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perchè tu possa sempre esprimere liberamente il tuo pensiero.” Ecco qual è la mia posizione. Cioè, io non sono credente, ma rispetto la fede dei credenti. Io ad esempio sono socialista, ma rispetto la fede politica degli altri: gliela discuto, posso discutere con loro, polemizzo con loro. Ma loro sono padroni di esprimere liberamente il loro pensiero. Cioè, io sono democratico in questo senso. Veramente.

Giornalista: Rispetta anche la fede politica dei fascisti?

Pertini: No. Questa la combatto con un altro animo. Il fascismo, per me, non può essere considerato come una fede politica. Sembra assurdo quello che dico, ma è così. Il fascismo, a mio avviso, è l’antitesi delle fedi politiche. Il fascismo è in contrasto con le vere fedi politiche. Non si può parlare di fede politica parlando del fascismo, perché il fascismo opprimeva tutti coloro che non la pensavano come lui. Chi non era fascista era oppresso. E quindi non può parlare di vera fede politica chi opprime le fedi altrui. Io combatto, ma combatto su un terreno democratico.

Estratto di una intervista ad Alessandro Pertini (1896 – 1990), antifascista, politico e partigiano italiano, 7º Presidente della Repubblica Italiana.

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Ricordo bene quando noi eravamo bambini. Intendo, con quel noi, la generazione degli anni ‘80-‘90: figli di chi è nato nel dopoguerra e ha vissuto attivamente la rivoluzione culturale degli anni ‘70, e nipoti di chi aveva visto le brutture della guerra con i propri occhi.

Noi siamo stati gli ultimi custodi delle testimonianze dirette di ciò che è stato in grado di fare l’odio; ma anche i depositari del messaggio di speranza e di cambiamento consegnatoci dai nostri padri e dalle nostre madri, che hanno creduto profondamente nell’educazione, nella cultura e nell’importanza della conoscenza storica come primi necessari anticorpi del sistema immunitario della democrazia.

Apparentemente, quindi, siamo cresciuti ben educati ed informati su quelle terribili pagine della nostra storia recente. Non ci si è limitati ad apprendere, sui libri di scuola, ciò che è stata la follia del Nazismo e del Fascismo, l’orrore dell’Olocausto: abbiamo visto film, letto libri come il Diario di Anna Frank, autori come Primo Levi, abbiamo ascoltato le testimonianze dei sopravvissuti ai campi di concentramento, delle vedove di guerra, i racconti dei partigiani, abbiamo visitato musei, memoriali, intervistato i nostri nonni.

Sembrava tutto funzionare: ricordo quando dicevo a me stessa quanto fossi stata fortunata a nascere in Italia negli anni ‘80, e provavo ad immaginare come sarebbe stata la mia vita, se solo fossi nata durante quella guerra. Pensavo spesso che i bambini europei come me godevano del privilegio di essere informati ed istruiti su tutto ciò che è stato, e di poterne democraticamente parlare; genuinamente ho creduto che, essendo a conoscenza dei fatti, tutti saremmo ora stati in grado di riconoscere cosa sono i diritti umani, e come identificare le violazioni di quei diritti. Avevo la profonda convinzione che quegli orrori non si sarebbero mai più potuti ripetere. Sarebbe stato impossibile. “Non si può fare due volte lo stesso sbaglio! E poi, ora, c’è la democrazia. È impossibile tornare indietro”, pensavo.

La storia dell’umanità me la immaginavo un pò così: come una scala che va dal buio della brutalità verso la luce della conoscenza e del bene che trionfa. Ed ignoravo quanto l’evoluzione dell’essere umano seguisse vie impervie e tortuose, perdendosi e talvolta ripercorrendo i propri passi a ritroso.

Nella mia ingenuità di bambina europea degli anni ‘80 che era andata a scuola, mi chiedevo come la gente prima di me avesse potuto essere tanto stupida. “Ma com’è potuto succedere? Come è stato possibile che nessuno sia stato in grado di vedere la tragedia che si stava consumando sotto gli occhi di tutti?”

“Se comprendere è impossibile, conoscere è necessario, perché ciò che è accaduto può ritornare, le coscienze possono essere nuovamente sedotte ed oscurate. Anche le nostre.”

Primo Levi.1Primo Michele Levi è nato a Torino, il 31 luglio 1919. È stato uno dei massimi scrittori italiani, autore di racconti, memorie, poesie, saggi e romanzi, e partigiano antifascista. Il 13 dicembre 1943 è stato arrestato dai fascisti e infine deportato nel campo di concentramento di Auschwitz in quanto ebreo. Scampato al lager, tornò in Italia, dove si dedicò al compito di raccontare le atrocità viste e subite. Il ricordo ed il trauma dell’esperienza di Auschwitz è probabilmente la ragione del suo suicidio, avvenuto a Torino nel 1987.

Questa frase di Primo Levi, da ragazzina, mi sembrava troppo allarmista. Ma d’altronde non gli si poteva dire niente, dopo tutto quello che Levi aveva visto e passato. Finchè non ho dovuto dargli ragione, man mano che la società in cui vivevo rivelava sempre più un volto inquietantemente familiare, come in uno strano déjà vu. “Era questo il volto del fascismo, allora?” mi sono chiesta.

E solo ora comprendo.

Eccolo, è tornato. Anzi, no: la verità è che non è mai andato via davvero. Era sempre lì, dal momento che scorre come un eterno e inquinato fiume sotterraneo, che si propaga furtivamente ovunque nel mondo riesca a trovare terreni favorevoli. Ad uno stadio iniziale, in superficie, la vita d’ogni giorno sembra trascorrere come sempre: tutto sembra tranquillo e silenzioso. Ma se sei attento abbastanza, potrai percepire un gorgoglio di sottofondo.

Fate attenzione a ciò che dicono i vostri sensi. Siate sempre in ascolto: come i marinai, munitevi del vostro udito e della vostra vista più fine, e di tutti gli strumenti ricevuti in dotazione dalle generazioni che vi hanno preceduto, perché è necessario essere in grado di leggere con largo anticipo l’arrivo della tempesta. La vostra stessa esistenza dipende dalla vostra consapevolezza, la quale è strettamente connessa alla consapevolezza collettiva.

Non sottovalutate quel gorgoglio di fondo, perché il potere corrosivo dell’odio è potentissimo: persino il più piccolo innocente forellino può tramutarsi in un cratere che apre l’accesso alla catastrofe umanitaria.

E se non avete dei buoni argini, se negli anni non siete stati costantemente al lavoro per la manutenzione di canali, impianti di purificazione, e non avete tenuto costantemente sotto controllo ogni piccola crepa, il fiume sotterraneo sgorgherà fuori da ogni controllo inquinando e seminando distruzione, spietatamente, in ogni angolo della terra.

Il totalitarismo all’inizio arriva “alla chetichella”: al principio è come un graffio impercettibile, una nota stonata che nessuno sente, un piccolo particolare che di solito viene sminuito, ma che invece faremmo bene a notare per correre subito ai ripari. Perchè quando troverete quel graffio, quando percepirete quella nota stonata, quel piccolo, innocente particolare, vorrà dire che il male ha già avuto tutto il tempo di nutrirsi e crescere indisturbato: come una carie che ha mangiato l’interno di un dente che dall’esterno sembra intatto.

Le dittature arrivano volando su ali di colomba. Ci diranno di essere un segno di Dio. Ci diranno che sono venute per il nostro bene, per la nostra sicurezza. Indossano maschere di sirene che cantano promesse di libertà.

E in nome della libertà schiacceranno quella di chiunque altro; in nome della giustizia divina saranno pronte ad uccidere Dio; in nome dell’amore per il proprio paese sfodereranno il peggiore dei nazionalismi; attueranno la più subdola delle oppressioni dicendo di volervi al sicuro dagli invasori stranieri che vogliono strappare via la vostra identità, per sostituirla con la propria. Vi faranno credere che fuori dai confini ci siano solo nemici.

Diranno che chi parla di diritti umani, di uguaglianza e di tolleranza, è un sovversivo, un terrorista. Vi informeranno che la calunnia, l’offesa, il linguaggio d’odio corrispondono alla libertà di parola e di pensiero; vi esorteranno a difenderla con qualsiasi mezzo, anche non pacifico se lo riterrete necessario, e vi daranno il permesso di usare le armi e la violenza ogni volta che verranno violati i confini abusivi delle leggi ingiuste che esse stesse hanno imposto.  

Le dittature vi addestreranno a pensare che i più bisognosi, i deboli, sono solo sanguisughe della società: cosicché non possiate essere in grado di vedere quando verranno schiacciati i loro diritti, e con essi anche i vostri. Vi diranno che chi tende una mano per chiedere aiuto, lo fa perchè in realtà vuole solo approfittare di tutto ciò che avete guadagnato col sudore della fronte. Vi faranno credere che un uomo con un bambino tra le braccia che affoga in mare cercando di scappare da una terra in fiamme, è un criminale, un parassita che vuole togliervi casa, lavoro, diritti. Un assassino che ha messo a repentaglio la vita di suo figlio, e per questo ha meritato di morire.

Esse vi vorranno ciechi: prometteranno a tutti il proprio orto incantato, da cui ottenere tutto il superfluo di cui pensate di aver bisogno, a patto che siate bravi e che non usciate mai di lì. Vivrete delle loro promesse di grandezza, che dovrete però pagare anticipatamente con la disumanità, con la cecità, con il disprezzo per il prossimo e per la vita.

Vi diranno che Dio sarà dalla vostra parte, se riuscirete ad essere ciechi abbastanza da non vedere il sangue, i morti, le ingiustizie, così ciechi da negare persino ciò che accade sotto il vostro naso. E saranno ben felici di dare ghiande al vostro odio, facendolo ingrassare come un maiale da ostentare sull’altare dell’Amore per la Nazione. Oppure, se non siete maiali, vi ricatteranno, così che abbiate paura di alzare la testa e gridare “no”: purché possiate vivere in pace, sceglierete il silenzio di una finta indifferenza, in cui vi lascerete morire.

Le uniche armi che abbiamo per contrastare tutto questo sono la conoscenza, il pensiero critico, un’attenzione sempre viva e un lavoro costante. Libertà e democrazia non sono, infatti, cose fisse, immutabili, incluse in un kit accessoriato di default che ti “appioppano” quando nasci. L’unica cosa che riceviamo quando veniamo al mondo è la grande responsabilità nei confronti dell’umanità e di noi stessi, poiché ognuno di noi ha il proprio ruolo nel contribuire a garantire l’integrità e l’inviolabilità dei diritti di ogni essere umano. Questo comporta tutto il nostro impegno.

Bisogna vegliare costantemente, proteggere la democrazia, poichè essa è una fragile fiammella sotto la bufera.

Belle parole, vero? Sì, certo.

Ma quando qualche anno fa, nel mio paese, in Italia, i primi rigurgiti neofascisti hanno cominciato a manifestarsi qui e lì, come quelle svastiche sui muri delle città e dei bagni pubblici, molti di noi (nonostante tutta l’educazione ricevuta) hanno creduto che fosse solo uno stupido, crudele gioco, a cui sarebbe stato meglio non dare importanza. Nessuno ha avuto davvero la piena consapevolezza di quanto stava realmente accadendo. Altri, invece, hanno preferito fingere di non averla, nonostante l’apologia di fascismo costituisca un reato per legge.

Nessuno, comprese le istituzioni, ha preso in tempo le dovute misure per impedire a certe nefandezze di ingrassare come maiali e scorrazzare libere per il paese (con tutto il rispetto per i poveri maiali.)

“La Bestia”- In fase di preparazione. Artista: Laura Grimaldi. All Rights Reserved.

Come insegna la storia, proprio la mancanza di attenzione e di consapevolezza è ciò che dà concime alle tragedie dell’umanità, e sottovalutare ciò che stava succedendo è stato come gettare benzina sul fuoco dell’odio.

Quello, infatti, era solo l’inizio di una serie di eventi che cominciavano a ripetersi. Non molto tempo dopo quell’inizio, le porte delle case di molti cittadini ebrei, ex partigiani, sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti, si sono riempite di svastiche e scritte “Juden mier”, mentre i giornali italiani ed europei si saturavano di notizie che riportavano la crescita esponenziale dell’odio e delle manifestazioni di intolleranza tra la popolazione: violenza verso i migranti e le minoranze etniche e religiose, discriminazioni, insulti, omicidi, ogni tipo di abuso.

Anche l’informazione cominciava a subire quotidianamente pesanti attacchi: programmi televisivi e radiofonici di informazione e approfondimento politico e culturale sono stati sospesi, mentre molti giornalisti subivano gogne mediatiche e campagne di diffamazione messe in moto da alcuni politici in carica al governo.

Quella “gente ignorante” non stava affatto giocando. Non lo ha mai fatto. Ciò che sta accadendo non può essere sottovalutato: la violenza non conosce limiti e cresce a dismisura, proporzionalmente allo spazio che le viene concesso e alla poca attenzione che le viene data.

Il senso dell umanità perduto

Poca attenzione, infatti, ricevono catastrofi umanitarie come la strage silenziosa dei migranti nel Mar Mediterraneo, conseguenza della politica dei “porti chiusi” e della strategia di criminalizzazione e denigrazione delle Ong, accusate di collaborare con i trafficanti.

La morte di coloro che cercano di raggiungere le coste dell’Europa è una delle più abominevoli conseguenze a cui ha portato il degrado culturale e umanitario dei nostri tempi, l’esempio emblematico degli effetti della crescita esponenziale della cultura dell’odio.

Si parla troppo poco sui giornali delle barche cariche di centinaia di migranti che quotidianamente, al largo del Mediterraneo, imbarcano acqua e spariscono tra le onde.

Le campagne di diffamazione portate avanti da alcuni esponenti politici europei, in aggiunta allo scarso coordinamento tra i governi dell’Unione nella gestione delle operazioni di salvataggio e all’insufficiente pattugliamento del Mediterraneo centrale, rappresentano un cocktail letale: il ritardo dei soccorsi, il loro boicottaggio o la totale mancata assistenza sono pratiche che si traducono in naufragi, spesso senza testimoni. 2Alarm Phone: Don’t let them drown Ma non solo: a tutto questo si aggiungono anche i respingimenti illegali di imbarcazioni in difficoltà che, in contrasto con il principio di non respingimento (non- refoulement 3Il principio di non respingimento è un principio fondamentale del diritto Internazionale. Ai sensi dell’art.33 della Convenzione di Ginevra è illegale, per il paese che riceve i rifugiati, impedire loro l’ingresso sul territorio così come deportarli, espellerli o trasferirli verso territori da cui sono dovuti fuggire, e in cui la la loro vita o la loro libertà sarebbero in pericolo a causa di persecuzioni basate su “razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un particolare gruppo sociale o opinione politica”. I paesi ospitanti, quindi, non hanno solo un dovere morale, ma anche un dovere legale, in base alle leggi internazionali, di salvare e proteggere i richiedenti asilo, mettendoli al sicuro nel proprio territorio. (Per informazioni sul principio di non-refoulement, leggi il documento cliccando sul link UNHCR -Sostieni il lavoro di Alarm Phone : website)), hanno spesso come conseguenza il fatto che i migranti vengano catturati dalla guardia costiera libica.4Leggi l’articolo di Repubblica

C’è un’agghiacciante similitudine in quello che è accaduto allora (riferito alla Shoah) e le vicende che oggi vedono morire nel Mediterraneo migliaia di persone […] Migranti deportati e annegati in mare; non hanno più una identità, sono solo dei numeri, entità astratte senza un volto, che oltre a non avere un futuro non hanno più neppure una storia.”

Parole di Sergio Giordani, sindaco della città di Padova 5(Il Giornale.it – Luca Romano – Ven, 25/01/2019)

Molti vedono nelle politiche persecutorie nei nei confronti dei migranti, un’agghiacciante analogia con le persecuzioni contro gli ebrei e le deportazioni durante il nazismo.

La campagna diffamatoria verso coloro che salvano vite in mare portata avanti da numerosi funzionari di governo nell’ambito dell’Unione Europea, descrive i migranti, i rifugiati, i richiedenti asilo come dei criminali, e i volontari delle ONG come nemici dello Stato colpevoli di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

La Bestia (dettaglio della campagna di diffamazione contro le ONG). Artista: Laura Grimaldi.
All Rights Reserved.

C’è, da parte di molti esponenti dei partiti di estrema destra (ma non solo di estrema destra), il mantenimento di una narrativa divisiva che alimenta la paura verso gli immigrati, così come l’attivazione di misure crudeli e inefficaci che non solo accrescono la sofferenza umana (anziché assistere chi ha bisogno), ma addirittura puniscono chi cerca di aiutare. 6(Leggi articolo di Amnesty International )

Nonostante la distorsione della realtà allo scopo di alimentare la paura e creare un “nemico” sia grossolana, evidente e paradossale, sfortunatamente riesce comunque ad avere un impatto negativo: il cittadino medio percepisce queste accuse come reali, e di conseguenza supporta i crimini dei governi anziché dissociarsi e combatterli, impedendo in questo modo il lavoro e le azioni di chi sta realmente difendendo i diritti umani.

I naufragi sono all’ordine del giorno. 7(Articolo di Amnesty International )

Questo è quello che succede ai migranti che cercano di raggiungere le coste europee. Sulla terraferma, invece, il lavoro sul fronte dell’accoglienza e dell’integrazione subisce altri affronti.

Intorno al 2018, il governo italiano ha cominciato (tra le tante altre cose), un’evacuazione di massa e lo sgombero di numerosi centri per richiedenti asilo e rifugiati, lasciando donne, uomini e bambini senza casa, senza più protezione e aiuto.8 Link AnsaI programmi umanitari sono stati distrutti, i fondi tagliati, e chi lavorava per questi programmi ha perso il lavoro. 9(Linkiesta: Nuovi decreti sicurezza Ottobre 2020)

L’odio in rete

L’onda anomala di odio, razzismo, e xenofobia si sta diffondendo in maniera allarmante, così come la diffusione di filosofie che si ispirano al fascismo. E questo ha delle conseguenze tragiche, come abbiamo visto. I social media, in particolare, sono uno specchio lucido che riflette un’immagine dolorosa della nostra società odierna; anzi, via via nel tempo si sono trasformati da “specchio” in vera e propria “lente di ingrandimento” della crisi umanitaria e culturale che stiamo vivendo.

“La Bestia”- Dettaglio- Like= Medaglia al valore- Violenza sui social. Artista: Laura Grimaldi. All Rights Reserved.

La violenza sui social media si manifesta tramite un mezzo virtuale, certo, ma è di fatto reale, ed ha il potere di crescere esponenzialmente, manifestandosi tra di noi.

Questa cultura dell’odio e della violenza è supportata ed alimentata da un certo tipo di argomenti politici, nella vita reale come sui profili social di alcuni partiti: quando gli esponenti di un governo o di un partito mostrano ufficialmente il loro orgoglio nel comunicare certe idee antisemite, razziste, xenofobe o quant’altro spacciandole per libertà di opinione, succede poi che molti dei cittadini “medi” si sentano ideologicamente supportati e giustificati nell’esprimere queste “opinioni” attraverso l’hate speech e attraverso azioni violente, credendo ciecamente di agire nel nome della giustizia.

Il caso dell’italiano 28enne Luca Traini, che indossando una bandiera italiana e mostrando il saluto fascista ha sparato a sei migranti per le strade di Macerata nel 2018, è un tragico esempio dei risultati a cui portano questi discorsi di odio.

Questa vicenda non è solo una conseguenza della diffusione di certe ideologie, ma è stata a sua volta causa di ispirazione per lo “xenofobo comune”: dopo l’attentato, Traini è diventato un eroe, simbolo di un’ Italia che reagisce e difende sé stessa dallo spauracchio dell’immigrazione: su Facebook, dopo quel tragico evento, c’è stato un vero e proprio fiorire di “gruppi che solidarizzavano con Traini, amministrati da gente con tanto di passamontagna in testa e una truppa di aderenti fascisti”. 10(Cit. Il Fatto Quotidiano)

Il caso di Macerata, inoltre, è collegato in modo inquietante con l’attacco terroristico che ebbe come obiettivo due moschee nella città di Christchurch, in Nuova Zelanda, il 15 marzo del 2019. Un attacco in cui 50 persone sono state uccise, ed altrettante ferite.

“La Bestia”- Dettaglio delle armi che portano luogo e data di alcuni attentati di estrema destra. Artista: Laura Grimaldi. All Rights Reserved.

Sul caricatore delle armi dell’attentatore, la polizia ha trovato una lista di nomi di altri terroristi di estrema destra che hanno “ispirato” l’attacco. Tra questi nomi c’era quello di Luca Traini. Inoltre, le autorità hanno reperito un manifesto di 87 pagine, colmo di idee anti-immigrazioniste e anti-islamiste. 11Link: The Guardian

C’è un particolare agghiacciante nell’attacco di Christchurch: il terrorista ha filmato in soggettiva la sparatoria, e il video è stato lanciato in live streaming sui social media, divenendo virale in poco tempo e raccogliendo innumerevoli visualizzazioni.

Ecco alcuni estratti di un articolo di Jenni Marsh e Tara Mulholland per CNN, che riflette sulla vicenda di Christchurch e sul ruolo di Internet nella diffusione dell’antisemitismo:

“ Il particolare disgustoso di una storia già orribile di per sé, è che tutto è stato trasmesso in diretta online. In realtà, l’intero attacco sembra essere stato orchestrato per i social media […] Questo attacco era molto di più, non si limita a ciò che è successo a Christchurch. Si trattava dell’ascesa della supremazia bianca online e del potere dei social media nella diffusione di quel messaggio […] A prima vista, il “manifesto” del terrorista sembra ricordare quelli dei precedenti assassini nazionalisti bianchi come Anders Breivik, un terrorista di estrema destra che ha commesso gli attacchi del 2011 in Norvegia […]. Questo documento si distingue per essere pieno di linguaggio sarcastico, allusioni alla cultura dei meme online da cui si evince l’esistenza di una evoluzione della cultura d’odio nazionalista su Internet […] Prima dell’attacco, l’uomo armato ha detto ai suoi spettatori online di iscriversi al canale YouTube di PewDiePie, che ha 89 milioni di follower sulla piattaforma […]

Lee Jarvis, co-direttore della rivista Critical Studies on Terrorism, afferma che Internet ha fornito alle persone con credenze minoritarie uno spazio per connettersi con altre persone affini, favorendo la normalizzazione della loro visione del mondo. “Fare parte di un piccolo numero di persone con le stesse idee da la percezione che queste idee siano più legittime e diffuse di quanto non siano in realtà”, afferma Jarvis. “Il fatto che il documento sia intriso di battute, riferimenti a meme su Internet, sottolinea che molti suprematisti bianchi si radicalizzano socializzando tra loro online”.12Read the whole article: “How the Christchurch terrorist attack was made for social media”

Purtroppo, questo non è stato il primo caso in cui Internet ha avuto un ruolo fondamentale nella spettacolarizzazione dell’attacco terroristico. Per esempio anche nell’assalto della sinagoga di Halle, in Germania il 9 Ottobre 2019, l’attentatore filmò l’attacco con una telecamera montata sull’elmetto. 13(Rai News: Link).

Oggi ci sono moltissimi studi, articoli, discussioni sul ruolo di internet ed in particolare dei social media nella promozione delle “culture dell’odio”.

Il terrorismo di estrema destra, così come per esempio anche l’Isis ed Al Qaeda, utilizza Internet per mettere in scena il terrore con l’obiettivo di fare paura. Ma non è solo nel ruolo di strumento di spettacolarizzazione della violenza che Internet ha la sua importanza, per chi fa parte di queste organizzazioni. Come ci hanno illustrato gli articoli precedenti, e come dimostrano vari studi condotti sul tema, il web ha un ruolo fondamentale nella strategia di marketing e propaganda dell’odio, mettendo in connessione individui con le stesse ideologie. Inoltre, i social networks si sono fatti piazza virtuale in cui ci si può sentire liberi di esprimere la propria intolleranza attraverso la “pratica” dell’hate speech, la quale alimenta la violenza in un loop di causa-effetto.14“Terrorism and the Media: A Handbook for Journalists” UNESCO

I social network e la propaganda politica

Ci sono molti tipi di terrorismo in giro per il mondo: il terrorismo psicologico e l’incitamento all’odio sono tra questi.

Oggi, quasi tutti i politici sanno come usare i social networks. È legittimo e fisiologico, visti i tempi. Ma non è il mezzo ad inquietare quanto, in molti casi, l’uso che ne fa l’autorità politica. C’è una grossa differenza tra l’utilizzo di uno strumento di connessione per diffondere un messaggio politico, e le forme di abuso di questi mezzi.

Negli ultimi decenni ci sono stati una serie di cambiamenti politici, sociali ed economici avvenuti proprio a causa dell’avvento della digitalizzazione dell’informazione, che di conseguenza hanno portato a nuove modalità di comunicazione, e a nuovi modi di divulgare le informazioni. Attraverso i social si può avere accesso diretto a masse di milioni e milioni di persone senza intermediari ufficiali, e per fare presa sul pubblico i politici di adesso adottano una comunicazione fatta ad hoc per l’elettorato medio dell’era dell’informazione digitale.

Certi canali, però, paiono avere il potere di bypassare l’autorità della stampa ufficiale, che ad uno sguardo superficiale sembra essere stata ridotta a superfluo accessorio dell’informazione. Ora il cittadino medio legge sempre più spesso le notizie sui post e tra i commenti delle pagine social, molte volte confondendo i meme con i comunicati ufficiali, l’opinione personale con la verità.

Nei profili di alcune delle nostre personalità politiche si trova davvero di tutto: dalle immancabili foto del cibo nei piatti, ai gattini, alla condivisione del programma per la serata, le foto al mare, le storie d’amore, i cocktails, i balletti in discoteca e su Tik Tok. Fino ad arrivare alla pubblicità dei fagioli in scatola. 15(Il Presidente USA e la pubblicità dei fagioli. Leggi l’articolo su Repubblica)

Ma si trovano anche discorsi che incitano all’odio, apologia di fascismo, violazioni della privacy, gogne mediatiche, campagne di diffamazione. Notizie false.

Tutto viene concesso, in questo strano gioco in cui si vuole dare a vedere che la maggioranza democratica si raggiunge a suon di “followers” e di “like”, ed in cui il potere, alla fine, lo ottiene chi riesce ad urlare più forte, chi meglio ostenta l’immagine, chi distorce la realtà, chi diffonde meme pieni di razzismo, calunnie, e fake news.

Questo, però, è solo quello che ci appare in superficie. Non è certo più un mistero il fatto che alcuni politici si avvalgano di meccanismi di monitoraggio delle masse, per raccogliere informazioni sull’orientamento politico e sull’argomento predominante tra la popolazione. L’obiettivo è quello di conquistare “fans” ed elettori.

Tramite l’utilizzo di particolari software, l’impiego di numerosi collaboratori e di una enorme quantità di soldi, i social vengono utilizzati come un vero e proprio termometro del sentimento sociale per cavalcare il pensiero e l’emozione maggioritaria del momento, e per captare, raggiungere ed orientare il pensiero delle masse. Attraverso falsi profili social, i collaboratori creano ad arte delle polemiche commentando, postando fake news, creando scompiglio, disinformazione e paura. E i risultati ci sono: li vediamo crescere, insieme al veleno che cresce in rete.

Apparati come questi sono numerosi in giro per il mondo; in Italia, il più noto è conosciuto come “La Bestia”, il Team Social di Matteo Salvini diretto da Luca Morisi.

“Cos’è e come funziona la ‘Bestia’ di Matteo Salvini”: Milena Gabanelli

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Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità. Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta. Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista. Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui. Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre.

Ennio Flaiano 165 Marzo 1910- 20 Novembre 1972. Sceneggiatore, scrittore, giornalista, umorista, critico cinematografico e drammaturgo italiano.

Leggendo la definizione di fascismo data da Flaiano, è fin troppo facile trovare nel mondo individui, gruppi, leggi, culture, governi che corrispondono fedelmente alla descrizione offerta dallo scrittore.

Il totalitarismo possiede molte facce, molti nomi, ma non fatevi ingannare. Sappiate riconoscerlo, e contrastarlo. Lo troverete spesso molto vicino a voi. Potrebbe somigliarvi persino. Fare cose apparentemente innocue: si, il tiranno può sembrarvi addirittura simpatico, mente sorride alla fotocamera e condivide con voi le foto di un pasto poco salutare.

E la Resistenza?

Ma allora dobbiamo dare la colpa della rapida diffusione dell’odio ai social network? I social sono soltanto un mezzo. E come qualsiasi mezzo, essi hanno avuto il loro ruolo nella diffusione di ideologie distruttive, certo. Ma è fuori dubbio che l’odio si sarebbe propagato ugualmente anche senza l’esistenza della rete, così come è sempre stato sin dalla notte dei tempi.

Internet sicuramente ha aumentato il numero delle connessioni tra individui e la possibilità di mettere in comunicazione le persone senza limiti di spazio e di tempo: ma questo non è solo a beneficio di fattori negativi come quelli finora descritti. È vero anche l’esatto opposto: la rete non è solo uno strumento di diffusione dell’odio, ma offre anche molti vantaggi a fattori positivi, divenendo luogo di veri e propri atti di “resistenza”.

L’era del digitale e delle fast news ha cambiato anche il modo di fare attivismo sociale: chi difende i diritti umani ha ugualmente imparato ad appropriarsi dei mezzi messi a disposizione dalla tecnologia e dalla connessione in rete, e ad utilizzarli nei modi più creativi per far sentire la propria voce.

Lo si può fare in mille modi diversi: condividendo informazioni, opinioni. Oppure scrivendo, facendo arte. Documentando una situazione e denunciando un’ingiustizia attraverso la condivisione di video, foto, testimonianze. Aprendo un blog, una pagina Facebook. Creando un’app che connetta le persone e condivida informazioni utili ai cittadini.

La condivisione è il cuore pulsante dell’attivismo sociale. Ma anche del nostro tempo. Internet ne è il re indiscusso: la parola d’ordine sui social è “share!”, dopotutto!

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Giornalisti, avvocati, scrittori, artisti, lavoratori del settore sanitario, insegnanti, sindacalisti, contadini, studenti, operai, casalinghi, disoccupati, uomini, donne, transgenders, giovani e anziani: gente comune. Provengono da percorsi di vita diversi tra loro, ma tutti hanno un sentimento comune che li porta ad agire contro le ingiustizie, da soli o in gruppo, difendendo i diritti umani e ripudiando l’odio, la discriminazione, la violenza. Le loro azioni possono essere piccole azioni, come combattere chi adotta un linguaggio violento; oppure possono essere azioni condotte in larga scala. In ogni caso, esse nascono dall’esigenza di ritrovare un terreno democratico su cui far nascere un vero dialogo, scevro dai toni che usano l’odio come strumento di divisione e di repressione del dissenso.

Tra gli innumerevoli esempi di attivismo che hanno come protagonista Internet, ho scelto tre casi che evidenziano come questo versatile strumento si presti alla creatività, all’espressione e alla divulgazione di messaggi positivi, radunando le moltitudini e organizzando azioni in grado di fare davvero la differenza.

1: Odiare ti costa

Nonostante si cerchi di dialogare pacificamente, succede fin troppo spesso, su Internet, di essere aggrediti verbalmente, minacciati, criminalizzati, stigmatizzati, calunniati, monitorati, e chi più ne ha più ne metta. L’avvento di Internet e dei social network ha creato nuovi modi di connettersi ed interagire e, conseguentemente, sono emerse nuove problematiche a cui bisogna trovare nuovi modi di far fronte. Nasce l’esigenza di far nascere leggi e regolamenti che tutelino chi naviga sul web, e chi è vittima del sempre più crescente odio online.

“Odiare ti costa” è un progetto lanciato nel 2019 da Cathy La Torre, avvocata specializzata in diritto antidiscriminatorio con particolare riferimento alle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, e sui diritti della comunità LGBTQI. “Odiare ti costa” nasce proprio per offrire assistenza legale a chi è vittima di calunnie, diffamazione, hate speech. Ma anche per promuovere l’utilizzo consapevole dei social e del web, e un linguaggio privo di odio, pregiudizi e stereotipi. Inoltre, si impegna concretamente per l’applicazione del “Codice di condotta per contrastare l’illecito incitamento all’odio on-line, sottoscritto tra la Commissione Europea e le principali piattaforme social.” 17Visita il sito di Odiare Ti Costa

Attraverso la propria campagna, “Odiare ti Costa” definisce in modo esaustivo la differenza tra libertà di opinione e reato: “Se il diritto di critica è sacro e inviolabile, se la libertà di opinione è sacra e inviolabile, se la libertà di dissenso, anche aspro, duro, netto, schietto, è un diritto sacro e inviolabile, la diffamazione no, l’ingiuria no, la calunnia no, l’offesa no, la minaccia no. Quelli sono delitti. Anche e soprattutto sui social. E arrecano danni. E quei danni vanno risarciti. Criticare una donna per le sue posizioni politiche è un sacro diritto. Augurarle lo stupro è invece un delitto. Criticare una persona perché solidarizza con i migranti è un sacro diritto. Insultarla, accusarla senza prove di qualche crimine, calunniarla è invece un delitto. Criticare un omosessuale per le sue idee è un sacro diritto: insultarlo, offenderlo, ingiuriarlo, augurargli o promettergli violenza no. Quello è un delitto. È un danno. E va pagato.” 18(Estratto da un articolo di Adriano Ercolani, Il Fatto Quotidiano, 24 Luglio 2019)

2: Le Sardine

Il 14 Novembre del 2020, il partito della Lega19(Il partito populista di estrema destra di cui è segretario Matteo Salvini) ha organizzato un evento al Paladozza di Bologna, all’avvio della campagna elettorale per le elezioni in Emilia-Romagna. Nel frattempo, un gruppo di quattro amici ha creato su Facebook una protesta nei confronti dell’evento leghista, dandole il nome di “6000 sardine contro Salvini“; il nome Sardine è stato scelto come un invito allo stare stretti in piazza “come sardine in una scatola”, appunto. Ma anche come suggerimento a trarre ispirazione dal comportamento di questi animali che, pur essendo piccoli, riescono a sventare gli attacchi dei predatori in virtù del loro grande numero e del loro spirito di collaborazione. “Vogliamo dimostrare che i numeri contano più della prepotenza”, hanno spiegato gli organizzatori, che miravano quel giorno a radunare in piazza Maggiore almeno 6.000 persone per oscurare coi numeri la campagna elettorale della Lega.

Nel loro manifesto le Sardine dichiarano di manifestare pacificamente e senza bandiere di nessun partito contro l’odio e i toni accesi della retorica populista. Inoltre, rivendicano trasparenza politica, condanna dei discorsi di incitazione all’odio, e la creazione di una proposta di legge contro la violenza verbale (da considerare alla pari della violenza fisica). Tra gli altri punti salienti, c’è anche la richiesta di una nuova politica di gestione dell’immigrazione in Italia, che si occupi in primis l’abolizione del “Decreto Sicurezza” promosso da Matteo Salvini, il quale ha introdotto una serie di misure contro l’accoglienza dei migranti che ne facilitano l’espulsione.20(Fonte: link)

Nessuno si sarebbe aspettato una partecipazione così intensa: quel giorno, Bologna ha visto il flash mob delle Sardine trasformarsi in un raduno di 15mila persone in piazza. Ma il successo del movimento non si è fermato al periodo delle elezioni regionali: in poche settimane è dilagato da nord a sud, in tutta Italia, attraversando poi l’oceano e dando vita a sempre più numerose iniziative e mobilitazioni anche da parte degli italiani all’estero, che hanno conferito in tal modo al movimento visibilità internazionale.21Fonte: link

Quei banchi enormi di gente colorata, definiti dalla controparte “folla di comunisti cannati dei centri sociali, attentatori della libertà di opinione”, erano una folla di gente comune, multiculturale, pacifica, che stava finalmente rivendicando il rispetto e l’inviolabilità dei valori universali e dei diritti umani. Manifestando in piazza contro il razzismo, la xenofobia, e tutte le forme dell’odio, era lì per ribadire che l’hate speech e l’apologia di fascismo non sono libertà di pensiero, non sono opinioni, ma crimini che vanno combattuti.

Finalmente, dopo tanto tempo, gli italiani si incontravano di nuovo per guardarsi negli occhi, riconoscersi. La gente riunita si contava, e dai loro volti si poteva leggere la loro stessa incredulità. Sembrava impossibile che stesse davvero accadendo. Incredibilmente ci si sentiva parte di una grande forza collettiva, parte di uno popolo che c’è sempre stato, ma che è stato a lungo disperso e disgregato, e che solo allora capiva il proprio potenziale.22Manifesto delle Sardine su Il Riformista

Non avevo mai visto un movimento di tale portata, nel mio paese. Non avevo mai visto così tanta gente manifestare insieme contro l’odio, finché arrivò il giorno in cui vidi scendere, nelle piazze di tutto il mondo, l’umanità intera. Era da poco passato il 25 maggio 2020, la data in cui George Floyd venne ucciso.

3: Black Lives Matter

Un poliziotto con il ginocchio sul collo della vittima, le parole stentate dell’uomo steso per terra: “I can’t breathe”. Il video dell’omicidio di George Floyd è stato diffuso su Internet da alcuni testimoni, diventando virale. È stata proprio la condivisione di quella testimonianza video la chiave d’accesso a un coinvolgimento e ad una partecipazione mai vista prima, che ha portato una miriade di gente d’ogni colore a riempire le piazze e le strade degli interi Stati Uniti.

Le proteste sono avvenute sotto la bandiera del Black Lives Matter, il movimento attivista internazionale originato all’interno della comunità afroamericana, nato nel 2013 in seguito all’assoluzione dell’assassino del diciassettenne afroamericano Trayvon Martin, ucciso nel 2012. Black Lives Matter organizza regolarmente manifestazioni di protesta contro gli omicidi delle persone nere, la brutalità, la violenza e l’abuso di potere da parte della polizia statunitense, e contro questioni come la profilazione razziale, il razzismo strutturale, e la disuguaglianza razziale nel sistema giuridico degli Stati Uniti. 23Visita il sito ufficiale di BLM

Durante le manifestazioni susseguenti alla morte di Floyd, Trump ha condiviso una lettera in cui si riferiva ai manifestanti pacifici come “terroristi”: “I falsi manifestanti vicino a Lafayette non erano pacifici e non sono reali”, viene affermato nella lettera scritta da John Dowd, ex avvocato di Trump, senza citare alcuna prova; “sono terroristi che usano studenti oziosi pieni di odio per bruciare e distruggere”. La CNN ha riferito che le forze dell’ordine hanno usato gas lacrimogeni per disperdere folle di manifestanti pacifici, ma la versione ufficiale degli eventi è cambiata ripetutamente. Tuttavia, le proteste hanno attirato personaggi del calibro del senatore repubblicano Mitt Romney e del sindaco di Washington Muriel Bowser, che hanno marciato con il pubblico.

C’è un aneddoto molto significativo di quelle prime settimane di protesta a Washington DC: mentre le contestazioni incalzavano, il presidente Trump ha fatto erigere una enorme barricata attorno alla Casa Bianca, che lo proteggesse dalla furia dei terroristi. Un recinto metallico, messo in piedi allo scopo di dividere, che mi ha fatto subito pensare a quel famoso muro tra Stati Uniti e Messico.

Ed è successa un cosa bellissima: i dimostranti pacifici hanno trasformato quel simbolo di divisione in un memoriale in onore di tutti gli afroamericani uccisi dalla violenza della polizia. I giornalisti hanno documentato la metamorfosi di quel recinto metallico, mentre prendeva vita tra i colori dei fiori, dei disegni, dei palloncini per il compleanno di Breonna Taylor, dei ritratti di George Floyd e dei cartelli per Emmet Till. Ogni giorno venivano aggiunti sempre più omaggi e messaggi al memoriale, che man mano si riempiva dei nomi di tutti coloro a cui è stato tolto il respiro.

Davanti a quel muro genitori di ogni colore hanno preso per mano i propri figli per raccontare loro cosa stesse accadendo. E per spiegare loro perché fosse così importante essere lì, tutti insieme. 24Articolo CNN: Trump costruisce una barricata attorno all White House

La denuncia dell’omicidio di George Floyd per mano della polizia, attraverso la condivisione di un video, ha fatto letteralmente il giro del mondo per mezzo della rete, risvegliando l’energia tellurica di una ribellione di portata globale. Mai nella storia abbiamo assistito a qualcosa del genere: sotto la bandiera di Black Lives Matter, l’umanità intera si unisce a dispetto di qualsiasi confine politico e geografico, per condividere le ragioni e i sentimenti di una lotta comune. Una lotta in grado di varcare qualsiasi confine, compresi i tanto pattugliati confini degli Stati Uniti.

Il mondo intero è in rivolta: non solo per solidarietà verso la comunità afroamericana e per l’indignazione verso la violenza della polizia e il razzismo strutturale negli Stati Uniti; ma contro le differenze sociali legate al razzismo in ogni dove, contro il passato coloniale e gli effetti del colonialismo in Africa, in Sud America, contro la xenofobia che uccide centinaia e centinaia di migranti al giorno nel Mediterraneo e nel deserto, nei campi di concentramento in Libia; contro ogni forma di discriminazione, contro la cultura dell’odio dilagante. Europa, Africa, Sud America, Asia, Israele e Palestina, e molto altro ancora. Black Lives Matter. Ovunque, non solo negli USA.

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Non importa dove viviamo, o dove siamo nati, di che colore è la nostra pelle, che età anagrafica abbiamo. Si sono rotti quei confini di filo spinato, tesi da chi voleva tenerci tutti lontani. Noi siamo qui, e siamo i fratelli di una stessa Patria. Ci riconosciamo dallo sguardo, dalle parole, non importa in quale idioma parleremo di giustizia, di libertà, di diritti, di uguaglianza. Noi siamo l’umanità che si ribella all’odio, ascoltateci bene: “We won’t take it anymore”. Ve lo diremo in tutte le lingue. Ve lo diranno i vecchi e i bambini.

E voi vi arrabbierete. Vi arrabbierete, direte che siamo “terroristi”, costruirete muri sempre più alti, finchè non farete prigionieri altri che voi stessi, nella vostra Casa Bianca e Dorata. Ed avrete paura, quando trasformeremo ogni muro in un memoriale: perché niente vi fa più paura della memoria, nulla vi fa più orrore di un popolo libero, che parla di giustizia, che grida all’orrore della violenza. Nulla vi fa più paura di chi scende in piazza e si guarda negli occhi, per parlare a nome di tutti, a nome nostro e a nome di coloro a cui è stato tolto il respiro per sempre. Ma è anche a nome vostro che parleremo, perché questa lotta non lasci nessuno indietro. Persino voi.

Laura Grimaldi25 Laura Grimaldi è l’autrice di questo articolo e del dipinto “La Bestia”

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